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09-06-2022
Le malattie infiammatorie intestinali (IBD) sono un gruppo eterogeneo di disturbi che colpiscono il tratto gastrointestinale, includendo morbo di Crohn (CD) e colite ulcerosa (UC), con una sintomatologia molto diversa e poco specifica. L'ipotesi prevalente le attribuisce ad una anormale risposta immunologica della mucosa contro antigeni ubiquitari, come la flora batterica residente, in persone con una predisposizione genetica. L'aumento delle diagnosi, soprattutto nei paesi industrializzati, dagli anni 70 del 1900 in poi, ha fatto pensare che ci fosse un nesso o un ruolo potenziale di alcuni fattori ambientali, come lo stile di vita, la dieta, la suscettibilità alle varianti genetiche, il microbiota intestinale e un'alterata risposta immunitaria.
Da un punto di vista dietetico mancano ad oggi linee guida nutrizionali internazionali per il trattamento dei pazienti. Si pensa che la dieta possa avere un ruolo nello sviluppo di IBD: per il suo impatto sulla composizione microbica, sull'integrità della barriera intestinale e sull'immunità dell'ospite. Modificazioni a carico di specifici gruppi alimentari possono causare un serie di eventi - disbiosi, alterazione della barriera intestinale, risposta immunitaria e danno alle mucose - che concorrono a sviluppare IBD. Ad oggi però non ci sono prove sufficienti per capire come la dieta influenzi lo sviluppo della malattia, nelle sue varie espressioni. Quello che si evince, dal comportamento dei malati, è invece il suo ruolo nel controllo dei sintomi. I pazienti tendono a regolare l'alimentazione in modo da alleviare i disturbi più comuni, come dolore addominale e diarrea. Come emerge da un recente studio pubblicato sulla rivista Nutrients, spesso vengono deliberatamente esclusi alcuni tipi di alimenti o nutrienti: per lo più glutine, prodotti lattiero-caseari o FODMAP (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili).
Il glutine in particolare viene spesso eliminato anche da chi non ha una diagnosi di celiachia, per il timore che possa peggiorare i sintomi. Nonostante questo, non sono state osservare differenze fra chi segue una dieta senza glutine e chi consuma glutine, quando si considerano il ricovero, le complicanze e l'intervento chirurgico. Sebbene sia stato osservato un effettivo miglioramento dei sintomi sono necessari ulteriori studi prima di raccomandare la dieta senza glutine come trattamento nutrizionale, chiariscono gli autori. Fra i cibi evitati ci sono latticini, alcolici, frutta e verdura, bevande gassate e cibi piccanti. Dallo studio emerge invece che la Dieta Mediterranea, che avrebbe dei potenziali benefici non è molto seguita. In alcuni casi, per il timore del riacutizzarsi della malattia, le restrizioni auto-prescritte dai pazienti sono così severe da causare carenze importanti. Proprio la mancanza di un protocollo dietetico di riferimento porta gli autori a consigliare la consulenza nutrizionale nei pazienti con IBD: fornire il giusto apporto di energia, micronutrienti, in particolare folati, ferro, calcio, vitamina B12, vitamina D e fibre, garantisce al contempo il beneficio derivante dal controllo della sintomatologia e un adeguato stato nutrizionale.
Francesca De Vecchi
Tecnologa alimentare
Fonte: farmacista33.it
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